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Google Privacy Sandbox: tra innovazione, critiche e futuro incerto della pubblicità online

  • Amedeo Leone
  • 12 giu
  • Tempo di lettura: 5 min

Il progetto di Google per superare i cookie di terze parti prometteva più privacy e sostenibilità per il web. Ma tra pressioni normative, accuse di monopolio e incertezze tecniche, il percorso si è rivelato tutt’altro che lineare.



Nel 2020, Google ha annunciato uno dei progetti più ambiziosi degli ultimi anni nel campo della pubblicità digitale: Privacy Sandbox. L’obiettivo dichiarato era ridisegnare il modo in cui la pubblicità online funziona, con un duplice intento: da un lato migliorare la protezione dei dati personali degli utenti, dall’altro garantire la sostenibilità economica del web, fortemente legata ai ricavi pubblicitari. In particolare, il progetto prevedeva l'eliminazione graduale dei cookie di terze parti su Chrome, il browser più utilizzato al mondo, e l’introduzione di tecnologie alternative che permettessero di offrire pubblicità mirata senza compromettere la privacy.


Questa transizione avrebbe segnato un punto di svolta storico: i cookie di terze parti, da decenni alla base del tracciamento pubblicitario su internet, sarebbero stati rimpiazzati da sistemi più sofisticati e, secondo Google, meno invasivi. Tuttavia, nonostante le buone intenzioni dichiarate, il progetto ha incontrato forti critiche, ostacoli regolatori e una crescente sfiducia da parte del settore, portando infine Google a rivedere drasticamente la propria strategia.




Le tecnologie proposte: Topics, FLoC, TURTLEDOVE


Il cuore del progetto Privacy Sandbox era rappresentato da una serie di nuove API pensate per garantire la funzionalità pubblicitaria senza consentire il tracciamento individuale.


Tra le più discusse vi sono:



1. FLoC (Federated Learning of Cohorts)


Questa tecnologia, ora abbandonata, intendeva raggruppare gli utenti in "coorti" sulla base dei loro comportamenti di navigazione. L’idea era che i pubblicitari potessero rivolgersi a gruppi di persone con interessi simili, anziché a singoli individui, riducendo il rischio di profilazione personale. Tuttavia, FLoC è stato ampiamente criticato perché, in pratica, permetteva comunque una forma di identificazione, potenzialmente ancora più pericolosa se combinata con altri dati.


2. API Topics


Subentrata a FLoC, questa tecnologia categorizza gli interessi dell’utente in base ai siti visitati, ma mantiene le informazioni sul dispositivo dell’utente, senza condividerle direttamente con i server. L’advertiser può accedere solo a un numero ristretto di “topic” (categorie di interesse) recenti. Anche questa soluzione, tuttavia, non ha convinto i sostenitori della privacy, che la considerano una versione “edulcorata” del tracciamento.


3. TURTLEDOVE, FLEDGE, SPARROW


Nomi in codice per una serie di proposte legate alla gestione delle aste pubblicitarie (real-time bidding) direttamente sul dispositivo dell’utente, senza che i dati di navigazione vengano condivisi con gli ad server. L'obiettivo era quello di mantenere l'efficacia delle inserzioni pubblicitarie limitando la circolazione dei dati personali. Tuttavia, la complessità di implementazione e la mancanza di standardizzazione hanno ostacolato la loro adozione diffusa.



Le critiche: privacy, monopolio e trasparenza


Fin dalla sua presentazione, Privacy Sandbox ha attirato l’attenzione non solo degli addetti ai lavori, ma anche delle autorità regolatorie e delle organizzazioni per la tutela dei diritti digitali. Le critiche si sono concentrate su più fronti.


  • Preoccupazioni antitrust: molti operatori del settore hanno accusato Google di utilizzare il progetto per consolidare il proprio dominio nel mercato dell’advertising online, escludendo concorrenti e limitando l’accesso ai dati. Questo ha portato a indagini formali da parte della Competition and Markets Authority (CMA) nel Regno Unito e ad azioni legali negli Stati Uniti e in Europa.


  • Critiche da parte della società civile: organizzazioni come l’Electronic Frontier Foundation (EFF) hanno denunciato Privacy Sandbox come un sistema che, pur modificando le modalità, continua a supportare una logica di tracciamento dell’utente a fini commerciali. Secondo EFF, la vera protezione della privacy dovrebbe implicare una riduzione complessiva della sorveglianza commerciale, e non solo un cambiamento degli strumenti impiegati.


  • Resistenza da parte degli editori: molte realtà editoriali e piattaforme indipendenti hanno manifestato preoccupazione per la perdita di controllo sulle strategie pubblicitarie e per la potenziale centralizzazione delle informazioni nelle mani di Google. Questo avrebbe potuto ridurre ulteriormente la loro capacità di monetizzare i contenuti, aggravando le difficoltà economiche già esistenti.



Il contesto normativo: GDPR e regolamentazione globale


L’introduzione del Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) in Europa e normative simili in altre parti del mondo ha posto nuovi limiti alla raccolta e al trattamento dei dati personali. In questo contesto, Privacy Sandbox era anche una risposta di Google alla necessità di conformarsi a tali normative senza rinunciare al core business pubblicitario.


Tuttavia, molti esperti di diritto e privacy hanno sottolineato che le nuove tecnologie di Google, pur presentandosi come "privacy-friendly", non risolvono i problemi di trasparenza e consenso informato richiesti dalle leggi. In particolare, il fatto che la profilazione avvenga sul dispositivo dell’utente non esonera le aziende dall’obbligo di fornire informazioni chiare e di raccogliere un consenso valido.



Il dietrofront di Google


A seguito delle numerose pressioni – giuridiche, politiche e industriali – Google ha progressivamente rallentato l’implementazione di Privacy Sandbox. Nel 2024, l’azienda ha annunciato una nuova proroga nell’eliminazione dei cookie di terze parti su Chrome, inizialmente prevista per il 2022 e poi rimandata più volte. A inizio 2025, è arrivata la conferma definitiva: i cookie di terze parti resteranno attivi su Chrome ancora per un periodo indefinito, e non sarà introdotto un nuovo sistema di consenso dedicato.


Parallelamente, Google ha dichiarato l’intenzione di rafforzare le protezioni per la privacy in modalità Incognito, dove i cookie di terze parti sono già bloccati, e di lavorare a soluzioni più trasparenti e meno invasive. Tuttavia, la mancanza di un’alternativa chiara e condivisa ha lasciato il settore in una condizione di incertezza.



Le conseguenze per il settore pubblicitario


L’abbandono (o il ridimensionamento) del progetto Privacy Sandbox ha importanti implicazioni per il mondo della pubblicità digitale:


  • Continuità delle pratiche esistenti: la permanenza dei cookie di terze parti su Chrome significa che molte aziende potranno continuare a utilizzare i sistemi attuali di targeting e tracciamento, anche se sotto crescente pressione normativa.


  • Competizione tra browser: mentre Firefox e Safari hanno già bloccato i cookie di terze parti da tempo, la scelta di Chrome di mantenerli evidenzia una diversa visione strategica e pone interrogativi sulla frammentazione dell’esperienza utente.


  • Spazio per soluzioni alternative: la battuta d’arresto di Google potrebbe aprire opportunità per lo sviluppo di tecnologie pubblicitarie realmente basate sulla privacy, magari promosse da consorzi indipendenti o standard internazionali.



Conclusione: un equilibrio ancora da trovare


Il caso Privacy Sandbox dimostra quanto sia difficile bilanciare due esigenze apparentemente inconciliabili: da un lato, la tutela della privacy degli utenti, e dall’altro la sostenibilità economica dell’ecosistema digitale, in larga parte finanziato dalla pubblicità mirata. Google, con il suo ruolo centrale nel mercato, ha cercato di guidare questa transizione, ma ha dovuto fare i conti con la complessità tecnica, le critiche del settore e i vincoli normativi.


L’abbandono di Privacy Sandbox, lascia un vuoto progettuale e normativo che rischia di mantenere lo status quo. Nei prossimi anni, sarà fondamentale che aziende, legislatori e società civile collaborino per definire nuove regole del gioco, in cui la protezione dei dati personali non sia un ostacolo, ma un valore centrale dell’innovazione digitale.

Non sai da dove cominciare?

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