Riforma dell’Articolo 30 del GDPR: novità, impatti e soluzioni per le imprese
- Amedeo Leone
- 19 ore fa
- Tempo di lettura: 4 min
Verso una nuova cultura della documentazione della privacy

L’articolo 30 del GDPR, che impone a titolari e responsabili del trattamento di mantenere un registro delle attività di trattamento dei dati personali, si è configurato negli anni come una delle colonne portanti della cosiddetta accountability, cioè della responsabilizzazione attiva dei soggetti coinvolti. Tuttavia, dopo oltre sei anni di applicazione, numerosi segnali indicano la necessità di una revisione normativa strutturale.
La Commissione Europea ha dunque avviato una consultazione con l’obiettivo di semplificare gli adempimenti per le PMI, migliorare la qualità del controllo sostanziale sui trattamenti (quindi la valutazione del rischio) e adattare gli obblighi documentali al livello di rischio effettivo per i diritti e le libertà fondamentali.
Nel dibattito in corso si sta affermando un consenso su un punto chiave: il registro dei trattamenti non può più essere inteso come un mero adempimento burocratico, ma deve diventare uno strumento dinamico e integrato nella governance dei dati, utile tanto per chi tratta i dati quanto per chi li deve tutelare.
Articolo 30 GDPR: i limiti dell’approccio attuale
Tra il 2018 e il 2023, oltre il 30% delle sanzioni GDPR in Europa ha riguardato proprio l’articolo 30. La disciplina vigente prevede un’esenzione per le imprese con meno di 250 dipendenti, salvo il verificarsi di specifiche condizioni come il trattamento di dati sensibili (art. 9) o giudiziari (art. 10). Tuttavia, l’ambiguità delle eccezioni ha generato incertezza tra le piccole e medie imprese, spesso in bilico tra adempimenti eccessivi e sottovalutazione del rischio.
Il risultato è stato duplice: da un lato, molte PMI si sono trovate nell’incertezza, oscillando tra l’eccesso di zelo e la sottovalutazione del rischio; dall’altro, le autorità di controllo hanno dovuto affrontare una mole considerevole di registri redatti in modo disomogeneo e, in molti casi, inutili ai fini dell’effettiva vigilanza.
Nello specifico, nel periodo compreso tra 2018-2023, oltre un terzo delle sanzioni in materia di protezione dei dati emesse in Europa hanno riguardato violazioni dell’articolo 30. Le piccole e medie imprese (PMI) sono state frequentemente colpite, ma anche enti pubblici e grandi aziende hanno manifestato difficoltà di adeguamento. L’assenza di modelli comuni e di strumenti digitali condivisi ha reso onerosa una pratica che, invece, dovrebbe essere semplificata e automatizzata.
Verso una riforma dell’Articolo 30: un approccio “risk-based”
Tra le ipotesi più avanzate vi è l’introduzione di un approccio realmente risk-based: ciò significa che l’obbligo di documentare le attività di trattamento non sarebbe più legato a criteri dimensionali, ma alla natura, alla portata, al contesto e alle finalità dei trattamenti. In quest’ottica, una piccola startup che sviluppa algoritmi di profilazione dovrebbe avere un registro dettagliato, mentre una media impresa manifatturiera con trattamento minimale di dati potrebbe usufruire di modelli semplificati.
Altro nodo centrale è la soglia di esenzione: si ipotizza di elevarla a 750 dipendenti, come da ultima proposta della Commissione (letteralmente qualche giorno fa). Questa scelta avrebbe un impatto significativo: secondo le stime preliminari, circa il 70% delle imprese europee verrebbe esentato dagli obblighi documentali, con un risparmio complessivo annuo stimato in oltre 1 miliardo di euro. Tuttavia, la riduzione degli obblighi dovrà essere accompagnata da rigorosi criteri di rischio e da strumenti che garantiscano la trasparenza.
Soluzioni digitali: registri GDPR centralizzati e interoperabili
Una delle proposte più innovative riguarda la creazione di piattaforme digitali centralizzate, a livello nazionale o europeo, per la tenuta e l’aggiornamento dei registri. Tali piattaforme potrebbero:
Consentire l’accesso controllato da parte delle autorità di controllo;
Facilitare la standardizzazione delle informazioni;
Offrire funzionalità di autovalutazione del rischio.
In prospettiva, l’integrazione con tecnologie di intelligenza artificiale potrebbe permettere di generare automaticamente mappature dei trattamenti, riducendo ulteriormente gli oneri amministrativi.
Questo approccio, però, implica sfide tecniche e organizzative non trascurabili: interoperabilità tra sistemi, sicurezza dei dati, formazione degli operatori, e garanzie contro un controllo eccessivo da parte delle autorità.
Opinioni degli stakeholder: pro e contro della riforma GDPR
Le PMI vedrebbero con favore un alleggerimento degli obblighi, purché accompagnato da linee guida chiare, strumenti operativi e supporto finanziario. Per le grandi aziende, il vantaggio principale consisterebbe nell’armonizzazione e nella possibilità di integrare i registri nei propri sistemi di compliance globale.
Le autorità di controllo sono divise: da un lato, accolgono positivamente l’idea di registri digitali accessibili e strutturati; dall’altro, temono una perdita di efficacia nell’enforcement se gli obblighi saranno troppo semplificati.
I cittadini, infine, potrebbero trovarsi privati di uno degli strumenti di garanzia più importanti se non verrà mantenuto un adeguato livello di trasparenza e documentazione.
Oltre l’Europa: il GDPR tra Europa, USA e Regno Unito
A livello globale, emergono approcci diversi. La California, con il suo CPRA, ha scelto un approccio più orientato alla responsabilità interna e meno alla formalizzazione documentale. Il Regno Unito, dopo la Brexit, ha avviato una semplificazione del regime documentale per le microimprese. In entrambi i casi, però, emerge il rischio di un allentamento della tutela.
L’Unione Europea ha l’occasione di tracciare una terza via: quella della documentazione intelligente, proporzionata e digitale. Le esperienze di semplificazione nei settori pubblico e sanitario in Francia e Germania dimostrano che una regolazione più flessibile è possibile, a condizione che sia accompagnata da strumenti adeguati.
Scenari futuri e raccomandazioni operative
Per favorire una riforma efficace, occorre:
che i policy maker definiscano indicatori di rischio chiari e interoperabili;
che le imprese si dotino di strumenti tecnologici per la gestione dei trattamenti;
che le autorità favoriscano l’adozione di piattaforme digitali comuni;
che venga garantita una fase transitoria con supporto tecnico e finanziario.
In conclusione, la riforma dell’articolo 30 non è solo una questione tecnica, ma una sfida culturale: ridefinire il modo in cui le organizzazioni documentano, comprendono e controllano il trattamento dei dati personali. Se ben disegnata, essa potrà contribuire a un nuovo equilibrio tra innovazione, competitività e tutela dei diritti fondamentali. Se mal gestita, rischia di indebolire una delle basi più solide del GDPR.
Il prossimo biennio sarà decisivo per capire in quale direzione l’Europa vorrà orientare la propria governance digitale.